Probabilmente andando a rivedere qualche archivio avrò già scritto qualcosa sull'albero di fico nel mio giardino, ma inizio a non ricordare più le cose... Per me è come un componente della famiglia, lo ricordo fin da quando ero piccolo, ci giocavamo intorno con i soldatini al fresco della sua ombra nei torridi ed infiniti pomeriggi estivi.
I suoi frutti erano ancora inarrivabili per noi e dovevamo aspettare che il nonno allungasse le sue forti braccia per staccarne qualcuno appositamente per noi.
Per mio nonno raccogliere i fichi era come un lavoro. Lo ricordo la mattina presto che indossava un camice blu da officina e s'infilava scomparendo tra le fronde. Spesso lo guardavo da sotto ma il mio punto d'osservazione preferito era il balcone della cucina che dava proprio sull'albero e mentre i rami rigogliosi ondeggiavano alle prime intense luci del sole il volto rugoso e fiero di mio nonno spuntava da un groviglio di foglie e mi allungava un fico appena colto! Una delizia.
A quei tempi l'albero era incredibile, mio nonno raccoglieva un secchio di plastica (quelli per lavare a terra e che ti dava in cambio del ferro vecchio quello che periodicamente passava con il suo camion... Non come quelli di adesso.) intero, poi li dava a mia nonna che li divideva per distribuirli ai miei zii che abitavano nelle tre ville di fianco, tutte con il giardino comunicante tra loro, ma questa è un'altra storia, altri li portava ai vicini mentre dopo un attenta selezione, che ancora non capisco ne sceglieva alcuni che apriva a metà e metteva a seccare al sole su dei cannicci, un altro duro lavoro perché andavano girati e controllati più volte al giorno, a fine estate uscivano i fichi secchi, i più preziosi quelli in cui era stata incastonata una mandorla.
Quando arrivava qualche visita il pomeriggio accoglierli in veranda con il cestino dei fichi era un gran lusso. Qualche volta arrivava mio zio da Castellaneta e malgrado il raccolto mattutino del nonno tornava a casa sempre con un carico importante, ovviamente quando mia nonna sapeva che veniva a trovarli metteva da parte anche la sua parte... Ma il bello era arrampicarsi e raccoglierseli da soli!!
A Settembre il fico terminava il suo ciclo e iniziavano a cadere le grandi foglie e i pochi fichi non raccolti fino a diventare un intricato scheletro filiforme.
Con il passare degli anni l'albero diventava più inaccessibile per il nonno, e la raccolta più o meno abbondante e con meno impegno quotidiano, ad anni alterni era compito di mio padre o di mio zio, io iniziavo ad arrampicarmi sui rami più alti, ma solo per giocare e fare i conti con il prurito causato dal "latte" che usciva dalle foglie spezzate e dai graffi delle foglie più taglienti, capendo a mie spese l'abbigliamento tattico del nonno.
Sotto il fico ho offerto la mia prima cena "fake" a Paola, ho fatto colazione con gli amici più cari, ho appeso l'altalena per dondolare mia figlia...
Ancora oggi mi arrampico speditamente per raccogliere quello che c'è da raccogliere, scomparendo tra le caotiche foglie ed è come abbandonarsi nell'abbraccio avvolgente dei ricordi, e riemergendo dal passato alle prime luci del sole e sento per qualche attimo che le ombre proiettate sul mio viso lo trasformino in quello di mio nonno. Mangio il mio fico appena raccolto, sempre il più buono di tutti e se capita ne passo uno a mio padre, anche se non dovrebbe mangiarne, che ogni tanto mi guarda dal balcone della cucina.
Qualcosa si dimentica ed è tristemente normale, mentre è fico accorgersi che altre siano così vivide nonostante il tempo passato si conta a molteplici balzi di decenni.
flozstation.it 2003